Lettera di Mauro Pitzalis, che dal Madagascar ci racconta come sta vivendo l’emergenza ad Antananarivo
Antananarivo 15 aprile 2020
Ricordo bene le immagini in TV dei mezzi militari a Bergamo che trasportavano i morti. Immagini orribili che hanno scioccato tutti noi qui in ufficio ad Antananarivo. Non c’era giorno in cui i nostri colleghi malgasci non si preoccupassero per noi, per le nostre famiglie e amici ponendoci mille domande e mostrando la loro vicinanza.
In quei giorni il virus era ancora lontano ma ormai era chiaro che non si sarebbe fermato in Italia o in Europa ma propagato invece nel mondo. La sensazione generale era che si trattasse solo d’una questione di tempo. Tutti
noi speravamo di sbagliarci. Speravamo che, essendo il Madagascar un’isola alla fine del mondo, si sarebbe potuto salvare da quest’altra sofferenza che avrebbe ulteriolmente aggravato la fragile situazione sanitaria del Paese.
Poco prima della metà di marzo, mettendo le mani avanti e avendo alla mente il detto “prevenire è meglio che curare”, anche se non era ancora presente nessun caso, al fine d’evitare possibili contagi da contatto avevamo adottato qualche misura precauzionale: gel disinfettante per chiunque entrasse in ufficio, sapone liquido, istruzioni sul come lavarsi le mani appese nel bagno, ecc. Tutto accompagnato da una piccola formazione sulle norme igieniche svolta dal nostro collega Dr. Damy per tutta l’equipe. Alle persone che venivano a trovarci tutto ciò sembrava esagerato ma da subito abbiamo avuto il supporto dei nostri colleghi, ben felici che al primo posto si mettesse la tutela della salute.
In seguito, vedendo anche la situazione peggiorare in Francia, la paura iniziava farsi sentire tra la gente qui in città attraverso uno sfogo sui media, dove si chiedeva al Governo d’agire per chiudere le frontiere. Una paura che prendeva forma, ad esempio, nei supermercati dove erano spariti i gel disinfettanti e non si riusciva a trovare delle mascherine.
Confrontandoci con i nostri colleghi in Italia, che mai hanno fatto mancare a tutti noi la loro vicinanza e sostegno, abbiamo deciso di prendere qualche ulteriore precauzione organizzando il lavoro e le varie attività per livelli di sicurezza in base all’evolversi della situazione. Nel mentre, a metà marzo, il Presidente della Repubblica per andare incontro a quanto richiesto dalla popolazione aveva deciso di chiudere le frontiere lasciando qualche giorno per lasciare il Paese agli stranieri che l’avessero desiderato. Al momento ero l’unico volontario di RTM presente in Madagascar in quanto i ragazzi del Servizio Civile erano già rientrati e il nostro Rappresentante Paese si trovava già in Italia in quanto richiamato in servizio dal Sistema Sanitario Nazionale.
Dopo un altro confronto con l’Italia decisi di restare qui in Madagascar per dare una mano, anche rassicurato dalla decisione di un altro ragazzo italiano (ex volontario di RTM) di rimanere e condividere la casa, la sua presenza mi avrebbe fatto sentire meno solo.
Al momento d’attuare le nuove misure concordate, e con le frontiere già chiuse, alla sera di venerdì 20 marzo il Presidente della Repubblica in diretta sulla TV nazionale dichiarava che erano stati identificati dei primi casi di COVID-19 sul Paese. Si trattava di persone arrivate dall’Europa, sia malgasci che stranieri.
Il mattino dopo la strada fuori di casa era già piena d’auto cariche di persone che lasciavano la capitale. In ciò rivedevo quanto successo in Italia appena dichiarata l’epidemia. A seguito d’un ulteriore confronto con l’Italia e nel rispetto delle nostre procedure di sicurezza fu deciso d’entrare in isolamento (per fortuna avevamo già fatto una grande spesa preventiva con i beni di prima necessità) chiudendo l’ufficio e sospendendo le attività, concentrandoci solo su
quelle essenziali che si potevano svolgere a distanza.
Al momento sono al venticinquesimo giorno di isolamento e vi scrivo da un ufficio silenzioso a cui non sono abituato.
Qui normalmente c’è sempre un via vai di gente e tante risate d’allegria e buon umore.
Voglio rassicurare tutti dicendo che sto bene e che sono costantemente in contatto con i miei colleghi qui e in Italia, aggiornandoci a vicenda sulla situazione e proseguendo per quanto possibile con le attività attraverso il telelavoro.
Anche il morale dei colleghi è alto e tutti sono in casa con le proprie famiglie lavorando a distanza.
Per quanto mi riguarda le giornate proseguono senza nessun problema anche se ammetto che qualche volta non mi rendo conto di che giorno sia. Cerco di rispettare gli orari che già avevo prima della “quarantena” per potermi regolare durante la settimana. Il giorno si lavora e la sera ci si rilassa tra un buon libro o un film. Ovviamente ci si preoccupa per la famiglia e gli amici, ma grazie ai social ci si sente meno lontani e meno soli. Il morale è alto e la speranza non manca.
Al momento abbiamo 110 casi in Madagascar e nessun morto per fortuna, ma personalmente il pensiero non può che andare a quei quasi 20.000 morti italiani, tra cui alcuni conoscenti. Qui si spera che tutto possa presto terminare al fine di riabbracciare i propri cari e i propri amici.
I malgasci usano dire: “Sii paziente, gli uomini che possono sopportare e aspettare saranno felici”.
Non ci resta quindi che essere fiduciosi e sperare per il meglio.