Racconto di Daniele, volontario RTM in Albania con il Servizio Civile Nazionale Estero
Marzo 2016
G.
G. ha circa 30 anni ma, come molti in queste zone, ne dimostra facilmente una quarantina. Per oltre metà della sua vita G. si è dato da fare lavorando con la terra e con gli animali. È proprietario di un gregge di pecore e capre. Ha il viso stanco e la pelle rovinata dal tempo e dal duro lavoro. Le sue mani, grandi, non sono certo quelle di un pianista. Da qualche anno ha preso l’abitudine di andare per tre mesi in Grecia, in cerca di qualche lavoretto stagionale nei campi per guadagnare qualche soldo. Di solito ci va a piedi, mettendoci 5 o 6 giorni; fortunatamente, l’ultima volta lui e il suo amico V. sono riusciti a rimediare un passaggio in macchina. Quest’anno non è andata molto bene, poco lavoro. È tornato un po’ deluso e con meno soldi di quelli sperati. Ha ripreso a lavorare con la sua poca terra e con gli animali. Ci porta dei documenti per il progetto che lui stesso ha provato a compilare: la grafia da terza elementare stride con le sue mani da lavoratore. Ha delle idee per migliorare la sua stalla e far stare meglio gli animali; mi racconta dei suoi piani futuri. Gli chiedo: “Come sei venuto fino al nostro ufficio?” “Ovvio, a piedi. Ci ho messo 2 ore e mezzo”. Ci salutiamo: lo aspettano altre 2 ore e mezzo di cammino fino a casa.
S.
S. è una signora di 60 anni con le rughe di una signora di 80. Insieme a suo marito, è capostipite di una famiglia di 14 persone; abitano tutti sotto lo stesso tetto e proprio lungo la strada. È facile, per questo, vederla spesso mentre porta al pascolo gli animali, mentre lavora nei campi o mentre cammina con la schiena curva sotto il peso della legna caricata sulle spalle. La carne delle sue capre e il formaggio che lei prepara sono il piatto forte della tavola e dell’alimentazione dell’intera famiglia. Passiamo con la macchina, come al solito, davanti alla sua abitazione. La troviamo in lacrime lungo la strada. Accostiamo e il mio collega le chiede cosa è successo: S. ci racconta che durante la notte dei lupi hanno attaccato il suo gregge e hanno ucciso una ventina di capre. È disperata: inutile dire che questo fatto inciderà non poco sul benessere della famiglia intera.
N.
N. ha vent’anni. Non sa leggere né scrivere. E non sa nemmeno contare: quindi, per lui, le sue capre sono da sempre 100, anche se alcune muoiono o altre nascono. Vive nel pascolo con i suoi animali: le capre, un cavallo e un cane gigante, che difende tutti dai lupi. Balbetta e, al di là di questo, non parla proprio benissimo: anche il mio collega albanese fa fatica a capirlo e a farsi capire. Inutile dire che i miei tentativi di frase in albanese non riscuotono particolare successo. Vive alle pendici della montagna. Il fuoristrada ha fatto molta fatica ad arrivare lassù, in alcuni tratti la strada sembra non esistere. Vive e dorme nella stessa stalla in cui stanno le capre, tutti i giorni della settimana per tutto l’anno, freddo o caldo che sia. Alcune volte la sorella più piccola lo aiuta; la madre, invece, (di età indefinita, lui dice che ha 80 anni) lo aspetta giù in paese. D’estate N., una volta munte le capre, scende ogni giorno col cavallo e porta il latte alla madre, che poi preparerà il formaggio. In paese, dicono perfino che per le occasioni importanti, N. affitti delle scarpe: non ne possiede nemmeno un paio.
Piccola nota personale: il solo fatto che, per ragioni difficilmente prevedibili, io mi trovi a condividere un pezzo della mia vita con esistenze come queste, totalmente differenti dalla mia, è semplicemente incredibile.
Daniele